Il libro di questa settimana è “Viaggiare è il mio peccato”, di Agatha Christie. E inizio con il botto: non è un giallo!

L’ho già detto che amo i libri di viaggi, e questo è proprio un libro di viaggi. Agatha Christie accompagna il marito, l’archeologo Max Mallowan, nelle sue spedizioni per conto del British Museum in Siria e Iraq negli anni precedenti alla Seconda guerra mondiale, e questo è una specie di diario, un resoconto delle spedizioni, un libro di memorie: nessuna trama, nessun intreccio, solo impressioni e ricordi, il punto di vista di una tranquilla signora borghese catapultata in mezzo al deserto. E devo dire che il libro è scorrevole, gustoso, ironico e leggero, quasi una finestra su un mondo che fu, con le sue atmosfere, i suoi sapori e i suoi ritmi ormai lontanissimi. Da notare, per inciso, che Mallowan e la Christie si sono conosciuti proprio in Medio Oriente, a Ur per la precisione.

Il libro segue un’impostazione cronologica, dagli acquisti prima della partenza, al viaggio, all’arrivo in Medio Oriente, innanzitutto per preparare la campagna, e poi per la campagna vera e propria. Incontriamo personaggi di tutti i tipi: autisti, facchini, camerieri, cuochi, factotum, assistenti, sceicchi, più o meno sedicenti, colleghi archeologi e tutto il resto dell’universo di figure e comparse che accompagnavano una spedizione circa 90 anni fa. E la Christie si trova parte di un ingranaggio al contempo semplice ma complesso, in qualità di “khatun”, titolo ottomano per le principesse figlie del Sultano, ma nel suo caso semplicemente “moglie del capo”.

Probabilmente molti di coloro che leggeranno queste brevi note hanno già una certa confidenza con le altre opere della Christie, magari anche solo per i titoli più noti, come ad esempio Assassinio sull’Orient Express o Poirot sul Nilo. Aggiungerei anche Non c’è più scampo (in originale Murder in Mesopotamia), sempre della serie di Poirot, e alcuni dei racconti con protagonista Parker Pyne, definitivamente meno noto di Poirot, come La porta di Bagdad o Morte sul Nilo. Il minimo comun denominatore tra tutte queste opere è il Medio Oriente, con le sue atmosfere e le sue suggestioni, e il libro di oggi contribuisce a spiegare come mai Agatha Christie sia riuscita così bene nel proporcele e nel farcele gustare: ci è vissuta, l’ha percorso in lungo e in largo in treno, camion, auto, a cavallo a dorso di cammello, ha parlato con la gente del posto, ammirato albe e tramonti, ha avuto contatti con gli ufficiali delle potenze coloniali dell’epoca, ne ha apprezzato le virtù e le contraddizioni.

Un libro quindi che funge, per noi lettori, da supporto e completamento al resto delle opere della Christie, che spesso ambienta le sue opere nei luoghi dove è vissuta o almeno dove è passata… e poi arrivano i film a rovinare il tutto! Per esempio, Assassinio sull’Orient Express è stato scritto a Istanbul e a suo tempo l’Orient Express collegava Istanbul a Londra. Durante il viaggio una tormenta di neve costringe il treno a fermarsi, bloccato in mezzo al nulla e praticamente irraggiungibile, una vera e propria isola in un mare di neve e gelo. Per la trama è una situazione che offre moltissime possibilità, il colpevole deve per forza essere uno dei passeggeri (mi fermo qui per non rovinarvi la sorpresa se per caso non lo avete letto). Il libro ambienta la tormenta tra le città di Vinkovci e Brod nell’attuale Croazia, un territorio in realtà piuttosto pianeggiante e monotono. Se avete visto l’omonimo film del 2017, il fatto succede sì tra Vinkovci e Brod, che però per motivi scenografici sono incassate tra le montagne delle Alpi, come se le tormente di neve in pianura fossero impossibili! Poteri della settima arte.